Nell'incipit dell'ottavo capitolo dei "Promessi Sposi", Don Abbondio, immerso nella lettura, esclama: "Carneade: chi era costui?"

Noi, invece, ci chiediamo: "Cavallo, chi era costui?"

Negli anni '70, c'era un personaggio che frequentava i bocciodromi, in occasione delle manifestazioni più prestigiose: emiliano di origine, era un tipo particolare, simile al motociclista che, nel film "Amarcord" di Fellini, attraversa la piazza del paese portando scompiglio. Il vero nome non l'abbiamo mai saputo; ma tutti lo conoscevano con il soprannome di "Cavallo". Il perché è presto detto: quando arrivava, chiedeva un compenso per tifare questo o quel giocatore, che così diventava il "cavallo vincente": chiunque gli desse qualche lira oppure gli offrisse da bere.I boccisti che non lo degnavano di attenzione per lui diventavano perdenti. "Cavallo" era un ragazzone un po' matto, però simpatico. Una volta, era arrivato al Comunale di Milano poco prima che iniziasse la finalissima di una gara nazionale. Trafelato, continuava a scusarsi, quasi si sentisse in colpa per il ritardo; ma gli appassionati gli avevano tributato un applauso a scena aperta. Poi avevano addirittura urlato il suo nome, fra lo sconcerto del direttore di gara e degli organizzatori, i quali erano stati costretti a presentarlo in modo ufficiale. In un'altra occasione, alla bocciofila "Astra" di Piacenza (quattro corsie all'aperto), un nostro giovane amico, Sergio, puntista pavese di talento, subì le istrioniche influenze di "Cavallo".

Era il 1976: "Gran Premio Industria", nazionale riservata a 256 coppie.

Sergio - che giocava con Franco, ottimo raffatore - si trovava in semifinale. Avversari: Dilda e Mancini, due grandi giocatori. Punteggio: 11 a 9 per la formazione pavese. Giocata a fondo tavola. Sergio e Franco avevano il dodicesimo punto a terra, a una quindicina di centimetri dal pallino; i due, però, avevano esaurito le bocce, mentre gli avversari ne avevano a disposizione ancora una. Dilda decise di tirare al pallino; un'impresa quasi impossibile: ai 28 metri, su quei campi in terra, avrebbe dovuto colpire una sfera di quattro centimetri di diametro e portarla verso le proprie bocce. Se avesse sbagliato, Sergio e Franco sarebbero approdati alla finalissima.

Non appena ebbe ascoltato la dichiarazione, un sorriso si disegnò sulle labbra del nostro amico, che stava già pregustando la vittoria; un sorriso, tuttavia, destinato a trasformarsi in un ghigno. L'avversario colpì il pallino che, beffardo, si avviò verso la tavola destra: 3 punti e partita per Dilda e Mancini. Pochi minuti dopo, si venne a sapere che Franco non aveva voluto pagare da bere a "Cavallo": quel ragazzone aveva portato - per così dire - sfortuna!

Sebbene "Cavallo" sia un personaggio legato al "boccismo romantico", qualche suo indegno erede opera ancora oggi all'interno dei bocciodromi; ma, più prudentemente, tende a mimetizzarsi...

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