Al termine della Prima Guerra Mondiale, per vendicare la “Vittoria mutilata”, Gabriele D’Annunzio, alla testa di alcune migliaia di arditi e legionari, occupò la città di Fiume. Era il 12 settembre 1919. L’avventura fiumana si concluse tragicamente nel Natale del 1920 con l’intervento del Regio Esercito. Nel centenario dell’avvenimento i media, nel parlare dell’impresa che scosse l’Europa, hanno sottolineato ancora una volta le tante e straordinarie passioni del Poeta Soldato. Tra cui lo sport. Nuoto, equitazione, scherma, boxe, calcio, golf, bocce, ciclismo, canottaggio, volo, motonautica. E non solo. “Meglio credere al corpo che all'anima” ripeteva spesso D’Annunzio. Lodò la ginnastica da camera “per non inflaccidirsi con l’avanzare dell’età”. Lo scudetto tricolore sulle maglie della nazionale lo inventò lui. Un vulcano di idee e di iniziative. Nel 1922 la Gazzetta dello Sport  lo proclamò “Atleta dell’Anno”.

 

Fiume, città ricca e moderna, era allora guidata da una lungimirante borghesia, in gran parte italiana, che aveva forti interessi economici e culturali con Praga, Budapest e Belgrado. Lo sport era molto praticato. Il gioco delle bocce che era stato fatto conoscere dai muratori friulani  immigrati in Istria per lavoro. D’Annunzio aveva una particolare passione per questo gioco. Era in gamba anche perché lo praticava molto spesso durante i suoi tanti soggiorni in istituti termali e hotel à la page che allora erano tutti dotati di campi di bocce. Sono numerose le foto in cui è ritratto mentre gioca con molto impegno. Spesso in compagnia di belle donne.

 

Nonostante l’acceso clima di scontro politico che regnava a Fiume durante la sua reggenza, tra infiammate assemblee, patriottici proclami e qualche vermouth di rappresentanza con la buona borghesia quarnerina, il Poeta riusciva ogni tanto ad eclissarsi. Una volta alla settimana, verso il tramonto, si rifugiava, assieme alla sua giovane amante, la ventisettenne pianista veneziana Luisa Baccara, nel quartiere di Borgomarina. Trattoria Alla Speranza. Due campetti sotto il pergolato. Una cesta di bocce di quebracho. La sua arena. Un legionario di Capodistria, Giulio Mondo, organizzava puntualmente, per volontà del suo comandante, una sfida con i migliori polsi di Fiume. Tre contro tre, ai 21 punti. Chi perdeva pagava la cena. Una sera di febbraio del 1920, freddo da morire, un giocatore, spostò inavvertitamente una boccia mentre misurava un punto decisivo. Nacque una contestazione. Gli animi si infiammarono. Parole grosse. Spintoni. Bicchieri in frantumi. D’Annunzio, vista la brutta aria, si infilò come un fulmine assieme a Luisa nella sua fiammante Fiat Torpedo e sparì. Il buio della notte inghiottì subito dopo anche gli altri. L’indomani mattina si presentarono alla Speranza due gendarmi. “Rissa? Ma no, solo due ragazzi un po’ bevuti. Non li avevo mai visti. Li ho cacciati a pedate”.

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