Il gioco delle bocce grida: Viva l'Italia!

Ma il mondo non gli concede il prestigio che meriterebbe

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Regina: "Che gioco possiamo inventare qui, in questo giardino, per mettere in fuga l’angoscia e l’inquietudine?".
Prima dama: "Signora, potremmo giocare alle bocce".
Regina: "Mi farà pensare che il mondo è pieno di ostacoli e che la mia fortuna corre come un peso, sbilenca".

William Shakespeare, Riccardo II, III atto

Nei piccoli paesi italiani la modernità arriva sempre in ritardo. La novità fa fatica ad insinuarsi tra le vecchie consuetudini e ad imporre le nuove tendenze. Nella memoria di chi scrive c’è un dopolavoro in un borgo di settecento abitanti, ci sono le urla dal cortile, intervallate da dei colpi sordi, degli scontri tra oggetti pesanti. Ci si affacciava e si vedeva un buon numero di uomini radunati intorno ad un rettangolo, attenti osservatori di sfere massicce che a volte rotolavano a terra, altre volte volavano.

Tra un lancio e l’altro, un bicchiere di vino allungato con la gazzosa e un po’ di polvere. A volte qualcuno dei più bravi per qualche giorno non si vedeva più nel campetto del dopolavoro. Quando tornava, mostrava fiero una tuta e un borsone decorati dai simboli della società bocciofila per la quali giocava, girando tra un bocciodromo e l’altro per fare tornei. Erano gli indizi che esisteva un mondo esterno, una realtà parallela in cui il gioco delle bocce era diventato qualcosa di più di un passatempo da osteria.

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